Conosciamo Matteo Balocco, che ci parla di smart working
Matteo Balocco, nato nel 1973, in questa intervista parla di smart working. Matteo si è laureato in lettere moderne, indirizzo tecnologie umanistiche, sotto la guida di Mario Ricciardi, che poi sarebbe diventato il presidente del Museo Nazionale del Cinema. La sua passione per le tecnologie e i nuovi media arriva da lui.
Ha lavorato 5 anni presso Domino Interactive (Torino), agenzia in cui ha vinto due Interactive Key Award per lo sviluppo di siti per Martini&Rossi e Salone del Libro e poi in Bluestudio (Vercelli) come Project Manager e UX Designer (UX sta per “user experience” e riguarda le interfacce digitali per l’utilizzo da parte degli utenti). Sempre come UX Designer, ma libero professionista, ha ridisegnato l’esperienza utente di svariate realtà, da Sorin (ora Livanova) ad AGOS Ducato a TVSvizzera.it, oltre a varie intranet per il settore bancario e finanziario (Intesa San Paolo, Schroeder, Credito Valtellinese).
Oggi Matteo è product manager di TOK.tv
In cosa consiste questo lavoro?
Il lavoro di Product Manager, in una startup come TOK.tv, è piuttosto vario. In sostanza si tratta di una figura di raccordo tra due mondi, quello del marketing e quello dello sviluppo, che – di solito – si parlano poco.
Da un lato si occupa dell’identità del prodotto, decidendo quali sono le caratteristiche e le funzionalità da lanciare; dall’altro gestisce il lavoro del team di sviluppo, decidendo la pianificazione dei rilasci delle sopracitate funzionalità.
TOK.tv è un’azienda della Silicon Valley che ha per concorrenti colossi come Facebook (che ha appena lanciato Sports Stadium) o Skype (che sta curando l’engagement dei tifosi del Liverpool).
La cosa interessante è che in TOK.tv abbiamo capito con qualche mese d’anticipo che buona parte del coinvolgimento dei tifosi, durante un evento sportivo, avviene anche “dentro” i device che usa quotidianamente. Noi forniamo a questi tifosi una piattaforma completa per testimoniare il proprio amore per la squadra del cuore. Questa capacità di vedere “prima” un mercato dove non c’era, ci ha consentito di acquisire partner come Barcelona, Real Madrid, Juventus e Serie A Tim.
Perché hai scelto di vivere e lavorare a Vercelli?
Beh, la risposta è semplice: TOK.tv è una cosiddetta Distributed Company, ovvero una startup con una sede legale a Palo Alto (e da quest’anno anche una succursale a Milano) ma nessuna sede operativa centrale. Sostanzialmente potrei, volendo, lavorare da casa in pigiama. Ho scelto invece di prendere un ufficio, qui a Vercelli, presso Bottega Miller. Niente pigiama, quindi…
A parte gli scherzi, quello dell’azienda distribuita è un modello di lavoro che si sta diffondendo molto, ormai, negli Stati Uniti. Nel nostro caso si adatta perfettamente anche al modello di business del nostro CEO, Fabrizio Capobianco. Fabrizio è convinto che se la Silicon Valley è senza dubbio l’ecosistema migliore dove far crescere una startup tecnologica, l’Italia resti il posto migliore dove fare scouting di talenti nel campo del design e della programmazione.
Detto questo Vercelli è la città in cui sono nato e cresciuto, dove ho costruito la mia famiglia insieme a mia moglie Carolina. Io sono – per molti versi – un brontolone riguardo alle cose della mia città, ma non posso negare che la dimensione sociale di una comunità di poche decine di migliaia di abitanti abbia i suoi vantaggi in termini di qualità della vita.
Vivere a Vercelli ha indubbiamente una quantità di vantaggi: un mercato immobiliare abbordabile, un buon collegamento sulla direttrice Est-Ovest (Milano e Torino) per le esigenze di ambito professionale, e Nord-Sud (montagna e mare) per quelle ricreative, e ottimo cibo, che non guasta mai.
In sostanza si tratta di smart working, una modalità che per molte delle professioni contemporanee sta prendendo piede anche in Italia.
Quali sono i benefici dello smart working?
I benefici dello smart working sono di diversa natura, e dipendono anche in buona parte dal tipo di “smart working” adottato dall’azienda per cui si lavora.
Nel mio caso, TOK.tv adotta una modalità di gestione del lavoro che dà molta fiducia alle capacità organizzative dei singoli.
Sostanzialmente il lavoro non è basato sull’orario, bensì su obiettivi e scadenze. Mi rendo conto che la cosa possa apparire ai più un po’ bizzarra, se non addirittura controproducente (“ma così sei sempre al lavoro!”).
In realtà questo consente di poter gestire in autonomia il lavoro e i suoi tempi. I vantaggi e gli svantaggi sono simili a quelli, per capirci, dei lavoratori autonomi, che possono organizzare i propri tempi da dedicare al lavoro e alla famiglia, ma senza l’assillo del fatturato. C’è una bella giornata e sono a posto con i task settimanali? Una passeggiata al sole non me la nego.
Lo smart working funziona per le persone e le imprese!
Pensa che un’azienda come Automattic, quella che ha creato WordPress, ha ormai più di 200 dipendenti sparsi per tutto il mondo. Una decina sono in Italia. Da quel che so il processo di assunzione non prevede alcun incontro di persona. Avviene tutto via Skype o email. A oggi nessun assunto è mai stato licenziato. Un recente studio (disponibile qui) indica che il 40% degli sviluppatori più preparati ormai lavora da casa.
Non condividere con i colleghi un ufficio, svolgere una professione scollegata dalla comunità locale, porta a un rischio di isolamento?
Ovviamente ci sono vantaggi e svantaggi. Lavorare senza essere fianco a fianco con i propri colleghi non è sempre semplice.
Fortunatamente ovviamo al “rischio isolamento” con Internet e la tecnologia: nella nostra cassetta degli attrezzi abbiamo svariati software di collaborazione come Slack e Hangout.
Una volta alla settimana ci incontriamo virtualmente in una “company call” durante la quale facciamo il punto sulla settimana appena conclusa e pianifichiamo il lavoro per quella seguente.
Alcune cose però possono essere fatte solo di persona. In questo caso ci incontriamo per un breve periodo di tempo. A volte questi meeting coinvolgono solo alcuni di noi. Per esempio a inizio marzo ho ospitato qui a Vercelli per 3 giorni il team di sviluppo per definire alcuni aspetti legati alla tecnologia del prodotto.
Ogni trimestre invece ci incontriamo tutti in un cosiddetto “retreat” ovvero un ritiro aziendale, dalla durata variabile, in cui ci allineiamo tutti sullo stato dell’arte, sulla pianificazione a medio e lungo termine e, soprattutto stiamo insieme. Siamo un bel gruppo. Sono convinto che buona parte della ragione per cui il rapporto con i colleghi sia così positivo sia dovuto al fatto che non siamo sempre gomito a gomito nel grigiore di una stanza d’ufficio.
Per concludere: credi che le città del Piemonte Orientale debbano investire anche nel modello dello smart working?
Dovrebbero attivare politiche che agevolino l’attrazione di aziende distribuite, fare in modo che i suoi talenti non fuggano a Milano, Torino o – peggio – all’estero, vanificando gli investimenti in educazione e formazione avanzata.
Sono felice di vedere che qualcosa a Vercelli si sta muovendo, anche se si tratta per ora solo di iniziative private: io sono ospite di Bottega Miller, uno spazio di lavoro dedicato alla comunicazione che coinvolge esperienze e competenze anche molto diverse tra loro. Vedo quotidianamente come l’ibridazione di temi e saperi consenta di creare opportunità nuove e, talvolta, nuovi mercati.
Ma esistono anche altre realtà come Uovo CoWorking o progetti interessanti come quello della creazione di un FabLab in città. Qualcosa, insomma, si sta muovendo.
Il cambiamento, però – ho imparato lavorando per un’azienda americana –, non avviene solo aspettando che venga calato dall’alto. Ognuno deve rimboccarsi le maniche e fare la sua parte, secondo le sue possibilità.
Cerco di essere coerente a questo convincimento, in questo contesto, organizzando con gli altri “bottegai” un piccolo ciclo di eventi chiamato Hangar. Si tratta di alcuni appuntamenti mensili dedicati alle buone pratiche della comunicazione.
Il risultato è che in poche settimane si è formata una comunità di persone, non solo vercellesi ma anche provenienti dal Biellese e dal Novarese, che iniziano a vedere Vercelli come un luogo interessante dove fare e cercare opportunità di sviluppo professionale.
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